Il recupero dei borghi rurali: competenze urbanistiche e finanziamenti
Sommario: 1. L’interesse al recupero e le competenze; 2. Ipotesi di sostegno economico: la normativa statale e regionale; 3. I Programmi di sviluppo rurale; 4. L’impiego dei fondi strutturali dell’Unione europea; 5. Il recupero dei villaggi rurali nel territorio delle aree naturali protette; 6. Conclusioni.
- L’interesse al recupero e le competenze
Ineluttabile premettere che i borghi rurali, o sovente “quel che ne rimane”, caratterizzano ancora buona parte del patrimonio storico ed architettonico della nostra Italia.
Di norma sono scrigni del tempo ove si rinvengono minute tracce della ormai perduta civiltà contadina. Più spesso raccontano di insediamenti con radici storiche molto profonde e con altrettanto intenso valore culturale in genere.
L’agricoltura globalizzata e la conseguente trasformazione del paesaggio agrario cozzano con la loro sopravvivenza secondo la dimensione e la funzionalità originaria.
Ma, proprio per la finalità di conservazione del paesaggio (“culturale”), almeno quanto alle componenti edilizie, meritano un’attenzione di recupero, per la quale è d’obbligo premettere un intersecarsi di competenze assai poco agevole.
Vengono coinvolti, sul punto, i settori dell’ordinamento (e così le amministrazioni di settore) che hanno poteri in materia di urbanistica, di tutela del paesaggio e dei beni culturali, di agraria (lato sensu), di aree protette.
La questione che appare più semplice da descrivere è quella che s’interfaccia con le competenze in tema di urbanistica ed edilizia: il recupero dei borghi rurali non deroga alle ordinarie competenze di settore ed è la matrice, la tipologia e la dimensione dell’intervento di recupero che determinano la figura di assenso edilizio necessario.
Ovviamente si determineranno sovrapposizioni allorché l’area su cui insiste il borgo rurale si colloca, ad esempio, nel perimetro di un’area protetta o di un’area “Natura 2000”.
E, sempre esemplificando, in tali casi, si produrrà la necessità di accompagnare gli assensi edilizi ordinari con il nulla-osta dell’ente parco o con l’esperimento di una procedura di valutazione d’incidenza (dovendosi considerare la “dimensione” dell’intervento, se rilevante o meno ai sensi dell’art. 5 comma 3 d.p.r. 357/1997, o qualora ricompreso in eventuali piani comunque considerati dall’art. 5 comma 2 della medesima normativa).
- Ipotesi di sostegno economico: la normativa statale e regionale
Su queste premesse appare d’obbligo verificare se ed in che modo il legislatore abbia mai attenzionato il recupero dei borghi rurali, magari cogliendone anche le potenzialità di valorizzazione turistica.
Vi è, a tal proposito, una normativa ad hoc: attraverso la l. 24 dicembre 2003 n. 378, recante “Disposizioni per la tutela e la valorizzazione dell’architettura rurale”, è stato posto l’obiettivo di salvaguardare e valorizzare le tipologie di architettura rurale, quali insediamenti agricoli, edifici o fabbricati rurali, presenti sul territorio nazionale, realizzati tra il XIII ed il XIX secolo e che costituiscono testimonianza dell’economia rurale tradizionale.
In forza di tale previsione, le regioni possono individuare, “sentita la competente Soprintendenza per i beni e le attività culturali”, gli insediamenti di architettura rurale presenti nel proprio territorio e possono provvedere al recupero, alla riqualificazione e alla valorizzazione delle loro caratteristiche costruttive, storiche, architettoniche e ambientali, anche attraverso la predisposizione di appositi programmi, di norma triennali.
Siffatti programmi devono contemplare:
- a) la definizione degli interventi necessari per la conservazione degli elementi tradizionali e delle caratteristiche storiche, architettoniche e ambientali degli insediamenti agricoli, degli edifici o dei fabbricati rurali tradizionali al fine di assicurarne il risanamento conservativo ed il recupero funzionale, compatibilmente con le esigenze di ristrutturazione tecnologica delle aziende agricole;
- b) la previsione di incentivi volti alla conservazione dell’originaria destinazione d’uso degli insediamenti, degli edifici o dei fabbricati rurali, alla tutela delle aree circostanti, dei tipi e metodi di coltivazione tradizionali, e all’insediamento di attività compatibili con le tradizioni culturali tipiche.
I programmi in parola devono altresì stabilire le modalità di approvazione dei singoli interventi e dei relativi piani finanziari e definire le forme di verifica sull’attuazione degli interventi stessi e sull’utilizzo delle risorse. Inoltre, possono essere approvati avendo prima eventualmente definito le forme di concertazione con gli enti locali interessati e non senza aver tenuto conto del parere preventivo dei Ministri per i beni e le attività culturali, dell’ambiente e della tutela del territorio e delle politiche agricole e forestali.
Al fine di sostenere economicamente l’iniziativa, la norma prevede la costituzione, presso il Ministero dell’economia e delle finanze, di un Fondo nazionale per la tutela e la valorizzazione dell’architettura rurale.
Le risorse assegnate annualmente al Fondo sono ripartite tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dal Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, proporzionalmente alle richieste di finanziamento relative agli interventi effettivamente approvati da ciascuna regione e provincia autonoma e anche in rapporto alla quota di risorse messe a disposizione dalle singole regioni e province autonome medesime.
Per gli anni 2003, 2004 e 2005, la dotazione del Fondo di cui al comma 1 è determinata in 8 milioni di euro annui. A decorrere dall’anno 2006, al finanziamento del Fondo si provvede ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera f), della legge 5 agosto 1978, n. 468 (stanziamenti di Legge finanziaria).
Quale risultato dell’attuazione normativa, sarebbero erogati contributi a soggetti proprietari o titolari degli insediamenti, degli edifici o dei fabbricati rurali fino all’importo massimo del 50 per cento della spesa riconosciuta secondo il relativo piano finanziario.
Il pagamento avviene sulla base dello stato di avanzamento dei lavori, ovvero, previa verifica, a saldo finale e tali contribuzioni non sono cumulabili con altri contributi pubblici
La concessione della contribuzione è subordinata alla stipula di un’apposita convenzione che prevede, tra l’altro, la non trasferibilità degli immobili per almeno un decennio, l’avvenuto rilascio dei permessi per la realizzazione delle opere, la redazione del preventivo di spesa a cura del direttore dei lavori e sottoscritto dal proprietario, la possibilità di revoca dei contributi per il mancato inizio dei lavori entro sei mesi dalla data del rilascio delle apposite autorizzazioni o a causa di lavori eseguiti in difformità rispetto ai progetti approvati.
L’intervento normativo in parola è stato seguito dall’emissione del decreto del Ministro per i beni e le attività culturali del 6 ottobre 2005, recante l’« individuazione delle diverse tipologie di architettura rurale presenti sul territorio nazionale e definizione dei criteri tecnico-scientifici per la realizzazione degli interventi, ai sensi della legge 24 dicembre 2003, n. 378», e dalla direttiva 30 ottobre 2008, dello stesso Ministero, sugli interventi in materia di tutela e valorizzazione dell’architettura rurale.
Nonostante l’appassionante contenuto, purtuttavia, non parrebbe che la legge in parola abbia trovato florida e fattuale attuazione.
Passando al livello legislativo regionale, vi è che la regione Toscana, in forza della l.r. 19 marzo 2015 n. 30, recante “Norme per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturalistico-ambientale regionale”, ha inteso contemplare i nuclei abitati rurali e le tipologie di architettura rurale di cui alla legge 24 dicembre 2003 n. 378, fra gli obiettivi per i quali «la Giunta regionale e gli enti parco, in coerenza con le indicazioni e gli indirizzi contenuti nel documento operativo annuale, individuano forme di collaborazione» (così l’art. 38, sul «Sostegno delle attività economiche e produttive eco-compatibili».
Anche la regione Campania richiama la norma in parola, ma sembra farlo in una maniera molto più costruttiva, giacché il rinvio, contenuto nella l.r. 12 dicembre 2006 n. 22, recante “Norme in materia di tutela, salvaguardia e valorizzazione dell’architettura rurale” (per cui «i contributi concessi ai sensi del comma 1 costituiscono anche quota regionale di risorse ai fini della ripartizione del fondo di cui alla legge 24 dicembre 2003, n. 378, articolo 3, comma 1») accede in realtà in un contesto autonomo di valorizzazione e di sostegno economico delle tipologie di architettura rurale tradizionali, quali insediamenti agricoli, edifici o fabbricati rurali.
La previsione normativa campana sembra particolarmente felice in particolare nella parte in cui concede contributi per interventi di manutenzione straordinaria, consolidamento, restauro, risanamento conservativo di manufatti di architettura rurale tradizionale, e «di conservazione dell’originaria destinazione d’uso degli insediamenti, degli edifici, dei fabbricati rurali e delle aree circostanti, dei tipi e dei metodi di coltivazione tradizionali, nonché per l’incentivazione dell’insediamento di attività compatibili con le colture tradizionali tipiche». Ciò tenendo conto della previsione di un’erogazione di «contributi in conto capitale nella misura del quarantacinque per cento delle spese ammissibili effettivamente sostenute per la realizzazione degli interventi», con un limite massimo di 250.000,00 euro per ciascun intervento ammesso a contributo.
Apprezzabili anche le singole disposizioni (art. 5 l.r. Campania n. 22/2006) che prevedono la concessione di «contributi finanziari in via prioritaria per l’attività di censimento e catalogazione del patrimonio rurale tradizionale presente nel territorio dei comuni campani e anche per studi, ricerche, mostre e altre forme di divulgazione». Cui sembra corrispondere, ad esempio, l’impegno del proprietario/beneficiario a «consentire l’accesso al pubblico in almeno un giorno al mese e nella ricorrenza di iniziative tese alla valorizzazione dei contesti rurali».
Altra ipotesi di sostegno economico è rinvenibile nella l.r Sicilia 15 settembre 2005 n. 10, ove si prevede un finanziamento dei distretti turistici che, fra altre finalità, perseguono l’obiettivo di «individuare e proporre particolari tipologie di architettura rurale realizzate tra il XII ed il XX secolo, a prescindere da qualsiasi ipotesi di utilizzazione di natura ricettiva, ristorativa e sportivo-ricreativa, secondo quanto previsto dalla legge 24 dicembre 2003 n. 378, al fine della loro tutela e valorizzazione».
- I Programmi di sviluppo rurale
Il gap seguito alla legge n. 378/2003 lo si ritrova parzialmente colmato in alcuni programmi di sviluppo rurale, con una apparente lieve forzatura di contenuto di alcune misure d’intervento.
E’ il caso del PSR 2014-2020 della regione Campania.
Nell’ambito della Misura M07, “Servizi di base e rinnovamento dei villaggi nelle zone rurali”, è infatti ben scansita la Sottomisura 7.6, recante il “Sostegno per studi/investimenti relativi alla manutenzione, al restauro e alla riqualificazione del patrimonio culturale e naturale dei villaggi, del paesaggio rurale e dei siti ad alto valore naturalistico, compresi gli aspetti socioeconomici di tali attività, nonché azioni di sensibilizzazione in materia di ambiente”. Si tratta, nello specifico della Tipologia di intervento 7.6.1, e cioè “Riqualificazione del patrimonio architettonico dei borghi rurali nonché sensibilizzazione ambientale”.
Ciò è riconducibile nell’Azione B, “Riqualificazione del patrimonio culturale rurale”, come Intervento B1 di progetto integrato, recante l’Obiettivo specifico 6a, per “Favorire la diversificazione, la creazione e lo sviluppo di piccole imprese nonché dell’occupazione”.
L’attuazione, attraverso i bandi, ha previsto ulteriori passaggi, incentivanti e migliorativi.
Ad esempio, quanto al recupero delle “facciate a vista” (degli immobili di proprietà di interesse storico) è contemplato un sostegno che raggiunge il 100% sino all’importo di 30.000€ e del 75% per somme superiori.
Allo stesso modo, per il “restauro e risanamento degli edifici” (con obbligo di implementazione di un’attività economica), il sostegno è pari al 75% fino all’importo massimo erogabile di € 200.000€.
Nella costruzione dei criteri, è stata opportunamente stabilita la «preferenzialità per l’impiego di tecniche finalizzate al risparmio energetico e al miglioramento sismico dei fabbricati».
Purtuttavia, solo in alcuni PSR è prevista questa forma specifica di sostegno, a fronte della valanga di interventi dedicati alla “banda larga”, la cui piena rispondenza all’obiettivo della misura M07 è tutta da dimostrare.
Il PSR 2014-2020 della Regione Veneto, accanto alla “banda larga” e al sostegno per investimenti di fruizione pubblica in infrastrutture ricreative, informazioni turistiche e infrastrutture turistiche su piccola scala, finanzia (al 50% o al 100% nel caso di enti pubblici) gli investimenti aventi ad oggetto strutture ed infrastrutture del patrimonio architettonico culturale dei villaggi e del paesaggio rurale di comprovato interesse storico-testimoniale, caratterizzanti per tipologie e/o caratteristiche costruttive e/o architettoniche. Ovvia la regola dell’assenza di compromissione dell’immagine architettonica e della struttura storica degli immobili e del rispetto delle tipologie e delle caratteristiche costruttive, architettoniche, storiche e paesaggistiche che li caratterizzano.
- L’impiego dei fondi strutturali dell’Unione europea
E’ d’obbligo interrogarsi sul legittimo impiego dei PSR per il sostegno economico al recupero dei borghi rurali. Dunque, s’impone una brevissima indagine della disciplina di settore dell’Unione europea.
Com’è noto, le risorse impiegate dai PSR attingono ai fondi strutturali dell’Unione Europea, in particolare al Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), di cui al Regolamento UE 1290/2005, destinato a finanziare i programmi di sviluppo rurale, in regime di cofinanziamento con gli Stati membri.
Precedentemente era il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) a garantire parte dei più estesi finanziamenti della politica agricola comune.
Per il periodo di programmazione 2014/2020, la normativa di riferimento è costituita dal Regolamento UE 1305/2013.
Nell’art. 19 delle premesse del regolamento in parola, vi si legge pacificamente che: «il rinnovamento dei villaggi e le attività finalizzate al restauro e alla riqualificazione del patrimonio naturale e culturale dei villaggi e del paesaggio rurale rappresentano elementi essenziali di qualsiasi impegno teso a realizzare le potenzialità di crescita delle zone rurali e a favorirne lo sviluppo sostenibile».
All’art. 20 della stessa fonte normativa, con maggior dettaglio (e con buona pace per la priorità normalmente assegnata alla “banda larga”), nella disciplina dei servizi di base e rinnovamento dei villaggi nelle zone rurali, sono specificamente richiamati gli «studi e investimenti relativi alla manutenzione, al restauro e alla riqualificazione del patrimonio culturale e naturale dei villaggi, del paesaggio rurale e dei siti ad alto valore naturalistico, compresi gli aspetti socioeconomici di tali attività, nonché azioni di sensibilizzazione in materia di ambiente».
Quel che spicca, nella differenza rispetto alla 24 dicembre 2003 n. 378, è un approccio “integrato”, non affatto limitato all’aspetto dell’architettura rurale, ma che vi comprende il “paesaggio” rurale, il patrimonio naturale e culturale dei villaggi , come incastonamento di perfetta simbiosi tra economia e vita agricola tradizionale, nella conservazione di tutto ciò che così diviene «paesaggio culturale» (Kulturlandschaft), sottolineato dalla cointeressenza normativa rispetto ai “siti ad alto valore naturalistico”.
Un laboratorio normativo omogeneo, che si profila come derivato da un approccio olistico, il cui culmine appare rappresentato dall’azione generale e finale di sensibilizzazione in materia ambientale.
Sullo sfondo, poi, il principio dello sviluppo sostenibile sembra affiorare con il richiamo agli aspetti socioeconomici legati alla conservazione dei villaggi e del paesaggio rurale tradizionale, la cui rilevanza appare, però, più rispecchiare il senso della tutela dell’intero legame (culturale) fra le attività tradizionali antropiche agro-silvo-pastorali ed il territorio naturale in cui si svolgono, piuttosto che di una mera crescita economica produttivamente rilevante.
Per mero diletto, rimane da interrogarsi sulla semantica che, così, oscilla tra “villaggi” e “borghi”. Sotto questo profilo, il tecnicismo della legge n. 378/2003, che si riferisce ad “insediamenti agricoli, edifici o fabbricati rurali” rimane intonso. Si sottolinea, purtuttavia, una probabile maggior coerenza della locuzione «villaggio» (rispettivamente in inglese, francese e tedesco: Villages/Villages/Dörfen), piuttosto che quella di «borgo», ancorché invalsa nell’uso comune soprattutto se accomunato dall’aggettivo «rurale».
- Il recupero dei villaggi rurali nel territorio delle aree naturali protette
Un discorso a parte è richiesto nell’eventualità che l’edilizia rurale, di valenza storico-architettonica, da conservare o recuperare, insista nel territorio di aree naturali protette.
E’ sì vero che fra le finalità della legge quadro 6 dicembre 1991 n. 394 si rinviene quella dell’«applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali» (art. 1 comma 3 lett. b). Ma è l’ente gestore dell’area protetta a caratterizzare il proprio territorio e, dunque, a scegliere fra le diverse ipotesi di disciplina possibili, quanto al recupero o alla manutenzione del patrimonio immobiliare esistente.
Difficilmente, per la loro intrinseca natura, gli insediamenti di cui alla presente trattazione potranno trovarsi nei confini ritagliati per le zone di promozione economica e sociale (che individuano le aree degli insediamenti abitativi e di promozione e sviluppo delle attività socio-economiche delle comunità locali), normalmente distinte fra zone impegnate da aree urbane, periurbane e agglomerati abitativi frazionali e zone interessate da infrastrutture ed attività impiantistiche turistiche, d’impresa e/o comunque produttive.
Sarà, dunque, l’ente parco, invero, a stabilire il perimetro delle c.d. «aree di protezione», che ricomprendono i paesaggi antropici “caratterizzati da un esercizio sistematico ancorché moderato di utilizzazioni agro-silvo-pastorali, secondo metodi tradizionali e di agricoltura biologica, e dalla presenza di forme sostenibili di ospitalità e fruizione in ambiente rurale”. Ed è in tale zona che, di regola, sono ricompresi i fabbricati rurali permanentemente abitati e i fabbricati per l’esercizio delle attività agro-pastorali tradizionali.
La disciplina legislativa consente (art. 12 comma 2 lett. c) l. 394/1991), in tali «aree di protezione», unicamente interventi edilizi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo. Attività per le quali non può dirsi nemmeno escluso l’intervento di sostegno economico dell’ente gestore dell’area protetta.
Purtuttavia, ove le emergenze architettoniche di un vetusto borgo (o villaggio) rurale dovessero ricadere nella zonazione a maggior tutela, gli interventi di recupero potrebbero essere unicamente limitati al restauro e risanamento conservativo o adeguamento strutturale, nel caso delle aree di «riserva generale orientata». Oppure, qualora ricadano nelle zone di «riserva integrale», vietati tout-court.
Ciò in quanto la legge quadro sulle aree protette ha inteso tratteggiare un sistema di tutela assoluta (rectius, integrale) degli interessi naturalistici che non prevede alcuna forma di comparazione con contrappesi di tipo socioeconomico.
L’esempio potrebbe porsi per vetusti insediamenti abitativi che hanno rappresentato l’estremo baluardo dello sfruttamento della natura da parte dell’uomo, in zone ad elevatissima valenza naturalistica. In tali casi il contemperamento di un interesse comunque primario, in quanto stabilito negli obiettivi di legge (e cioè la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali), rispetto alla tutela del primario interesse naturalistico, è affidato alla discrezionalità tecnica dell’ente parco per il tramite della redazione degli strumenti di gestione (piano per il parco e regolamento).
- Conclusioni
Facilmente può essere tratteggiata una sintesi, posto che è apparso in tutta evidenza un disinteresse della politica e dell’amministrazione verso il tema, trattato solo occasionalmente, ove si sono date delle combinazioni virtuose, ma senza che ciò abbia rappresentato un intervento dotato del carattere della sistematicità.
La legge n. 378/2003, apparentemente arenata, il finanziamento generalizzato della “banda larga” all’interno della più ampia e farsesca misura dei “Servizi di base e rinnovamento dei villaggi nelle zone rurali”, cozzano inesorabilmente contro la più profonda ed ampia visione dell’Unione europea che si preoccupa di attribuire sostegno economico per preservare il patrimonio culturale e naturale dei villaggi e del paesaggio rurale, con i relativi aspetti socioeconomici.
Non, dunque, un mero recupero dell’aspetto architettonico o paesaggistico, ma una difesa di tutto ciò che i villaggi rurali possono esprimere, a livello culturale ed economico.
Questo approccio non sembra essere stato in alcun modo recepito nel nostro paese. Evidentemente la salvaguardia dell’intero valore della tradizione rurale non è nelle “corde” di politici ed amministratori. Con la conseguenza dell’evidente perdita del valore culturale e dell’utile sopravvivenza delle economie tradizionali a ciò legate, che possono essere apprezzate anche in un’ottica pluridimensionale, qualora ci si rivolga alla genuinità della produzione agricola tradizionale, sia dal punto di vista della qualità nutrizionale, che del recupero della biodiversità, od anche del recupero di forme di occupazione lavorativa giovanile, ma sinanche ai fini di una valorizzazione turistica ulteriore e profonda del nostro territorio rurale.
Questa visione complessiva del recupero della cultura rurale potrebbe essere ricondotta all’intento, del legislatore europeo, di rivolgere l’azione di tutela dispiegata, in ultimo verso la più generale “sensibilizzazione ambientale”, cui certo possono dirsi appartenenti le categorie appena rappresentate, della qualità dei prodotti agricoli tradizionali, della biodiversità e di un sistema agricolo di produzione a bassissimo impatto ambientale.
Le aree protette, in proposito, sono dotate di un doppio filo di lama, giacché posseggono tutto lo strumentario per valorizzare e salvaguardare le attività agro-silvo-pastorali e tradizionali (con i relativi valori antropologici, archeologici, storici e architettonici), ma con gli stessi strumenti, in nome di un prioritario interesse naturalistico possono anche sterilizzare del tutto tali istanze.
Più realisticamente, anche in questo settore, tutto è relegato alla sensibilità culturale del personale tecnico ed amministrativo degli enti gestori, nonché ai loro orientamenti sulla concezione ecologica dell’ambiente, giacché spesso si giunge all’alternativa tra il recupero o il mantenimento di un dato ecosistema, storicamente determinatosi (nella genesi o) nella simbiosi con le attività antropiche tradizionali, e la libera evoluzione di processi naturali che hanno visto, nell’ultimo periodo, l’abbandono dei luoghi e delle economie rurali (ma anche montane) tradizionali, con un affaccio verso una rinaturalizzazione dei luoghi, sovente definibile semplicemente di “abbandono” con ogni conseguenza sulla trasformazione del paesaggio, dell’ecosistema, della distribuzione e presenza della fauna e quant’altro.
Si potrebbe concludere, allora, sostenendo che in questo Paese manca una riflessione identitaria. Il passato è stato impacchettato in un veloce oblio verso un futuro incerto e non direzionato. Ed è difficile individuare un futuro allorquando si sono perse le radici del proprio passato e non si è in grado di appoggiarsi ad un’identità culturale solida, che non sembra essere altra che quella ove la “ruralità” riveste un ruolo centrale di fulcro e di sostegno.
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